Riassunto: Building successful communities of practice

Se avete sentito parlare del modello spotify avrete sentito parlare di “guild” (anche se preferisco il termine italiano “gilda”, che mi ricorda una cara collega dei tempi dell’aeroporto). Questo libro è uno dei pochi che ho trovato sull’argomento. Come al solito, riassumo per futura comodità e per fissare gli argomenti nel retrocranio.

Il libro, abbastanza sintetico, è strutturato secondo uno schema chiaro: parte dalle motivazioni per voler creare una Community of Practice (CoP d’ora in poi), ne spiega le fasi di evoluzione, il contesto organizzativo che la rende possibile, definisce le caratteristiche della leadership di una CoP e spiega quindi come avviarne e coltivarne una affinché dia i frutti desiderati. Da ultimo, da suggerimenti su come renderla autonoma in modo che non sia necessario un costante investimento manageriale.

Perché c’è bisogno delle CoP

Perché un’organizzazione dovrebbe volersi dotare di CoP? Perché esse supportano pratiche e caratteristiche desiderabili per l’azienda.

In primo luogo una CoP permette ai suoi membri di imparare facendo. L’apprendimento, secondo le moderne teorie cognitive, non é qualcosa che avviene semplicemente dalla passiva acquisizione di nozioni. Affinché l’apprendimento sia effettivo, le nozioni apprese devono essere messe in pratica in un contesto sicuro e dove ci sia feedback. Le CoP forniscono questo tipo di ambiente.

Le CoP aiutano a superare la cultura “a silos”, purchè siano strutture trasversali ai silos stessi. Lavorando assieme, persone di diversi team iniziano a conoscersi e considerare l’altro e il suo contesto, avvicinandosi.

Le CoP facilitano la gestione della conoscenza. La conoscenza di un’organizzazione é in minima parte esplicita (knowledge, i processi), in massima parte implicita (knowing, la pratica). Se mantenere la conoscenza esplicita attraverso wiki o altri strumenti é un compito time consuming ma in qualche modo gestibile, molto più complesso é gestire la conoscenza implicita: il turnover (permanenza media 5 anni in azienda per i millenials!) rischia di deteriorarla rapidamente. Le CoP permettono di avere un ambiente dove il mantenimento di tale conoscenza é perpetuato.

Anche il processo di hiring é agevolato dalle CoP. Una volta che una CoP ha stabilito e formalizzato i propri valori, diventa più semplice indirizzare il recruiting in direzione allineata ad essi. E’ importante che ci sia una buona distribuzione degli skills nella CoP, idealmente con una curva a campana: qualcuno che ne sa tanto, qualcuno che ne sa poco ma vuole imparare e tanti che ne sanno abbastanza.

Da ultimo, le CoP garantiscono una maggior soddisfazione dei collaboratori. Per i knowledge workers, la motivazione dei collaboratori, la loro felicità, ha una correlazione positiva con la produttività. Le teorie moderne (vedi anche ad esempio questo piacevolissimo libro) indicano che la motivazione intrinseca (vedi sidebar) richiede il soddisfacimento di tre condizioni: autonomia, mastery e scopo. Le CoP abilitano queste condizioni. In particolare, permettono di aumentare la propria competenza su un argomento attraverso la sperimentazione e il confronto con persone che “ne sanno di più”.

Motivazione intrinseca vs estrinseca
Per motivazione intrinseca si intende quella che nasce da dentro, che non ha bisogno di stimoli esterni: io la vedo come la voglia di far bene per il piacere di farlo, non perché mi pagano. Per contro, la motivazione estrinseca è quella che nasce dal desiderio di una gratifica esterna (tipicamente, soldi).

Ciclo di vita di una CoP

Il modello proposto per il ciclo di vita di una CoP è in linea con il modello di Tuckman (vedi sidebar)

Immagine presa dal libro: ciclo di vita di un CoP

Nella fase iniziale, la CoP è potenziale: c’è un’esigenza, ma i membri della CoP si sono appena messi assieme per collaborare. Serve molta guida dall’esterno.

Nella fase di forming, la collaborazione inizia. Serve sempre guida dall’esterno, ma meno. In questa fase bisogna portare risultati immediati, per motivare il team stesso e sostenerne esternamente la necessità.

Modello di Tuckman Il modello prevede che un team passi quattro fasi (a volte cinque). La prima è detta forming, in cui il gruppo inizia a collaborare. Segue la fase di storming, dove gli individui interagiscono in modo più tumultuoso, prendendo le “misure”. Fossero cani, direi che si annusano. Segue la fase di norming, in cui gli equilibrii si stabilizzano e per finire si arriva all’agognato performing, in cui il team viaggia spedito. Il modello é lineare, ma l’evoluzione del team può seguire un percorso molto più tortuoso o non riuscire a superare mai (da solo) alcune fasi. In alcuni modelli viene riportata anche un quinta fase, adjourning, il cui team… si scioglie.

Nella fase di maturazione, il team inizia ad andare con le sue gambe, ma può conoscere dei momenti di stanca, quindi serve un certo sostegno.

Nella fase di autosostentamento, la CoP, pur con alti e bassi, produce e non serve gran supporto esterno. Occorre però vigilare che non ci sia un calo di energia e conseguente regressione.

Da ultimo, a seguito di eventi “cataclismatici” oppure perchè la CoP ha esaurito il suo scopo, la CoP si scioglie e … diventa qualcos’altro.

Creare il giusto ambiente

Perché una CoP possa fiorire, occorre creare il giusto contesto.

In primo luogo, i membri devono avere tempo e modo di riunirsi e conoscersi. Questo è più difficile in contesti distribuiti geograficamente (oppure durante una pandemia), dove occorre ricorrere ai mezzi che la tecnologia mette a disposizione.

Nelle fasi iniziali, la leadership della CoP gioca un ruolo fondamentale. I CoP lead possono essere autoeletti o sponsorizzati dall’esterno, ma in ogni caso devono avere buone doti organizzative e di leadership, oltre ad avere il tempo per avviare la CoP. E’ inoltre essenziale che abbiano un’elevata credibilità presso i membri della CoPNon è semplicemente qualcosa che si può aggiungere on top al resto, in quanto richiede tempo ed energie. Il riconoscimento formale del ruolo può aiutare a vincere l’attrito tra linea e struttura di delivery (vedi modello spotify di chapter e guild).

I membri della CoP devono avere un contesto generativo, quindi devono sentirti “al sicuro”. Questo implica che deve crearsi un clima di fiducia e di rispetto, Tale clima richiede tempo e il leader della CoP deve vigilare affinché non si generino comportamenti tossici. L’apertura all’esterno deve avvenire solo quando si è instaurato un clima di fiducia all’interno.

L’organizzazione deve supportare la CoP. All’atto pratico significa investire tempo, personale ed eventualmente denaro.

La leadership di una CoP

Esistono vari modelli di leadership.

Il più tradizionale è quello del single leader: uno solo dei membri è il leader della CoP. Può essere il capo gerarchico, ma anche no: l’importante è che sia rispettato e riconosciuto dai membri della CoP. Questo modello può essere utile per iniziare, ma non è necessariamente il modello migliore in tutti i contesti, anzi. Del resto se c’è un solo leader, cosa succede quando il leader se ne va o deve dedicarsi ad altro?

Una variante è quella della shared leadership: più membri della CoP acquisiscono il ruolo di leader. E’ particolarmente utile per distribuire il carico.

Un ulteriore aspetto da considerare, soprattutto in caso di CoP distribuite geograficamente, é quello della distrubuted leadership. Importante far si che ogni area geografica abbia un leader il quale condivida con gli altri leader la guida della community. Il modello locale all’area geografica può essere uno dei tre modelli base visti in precedenza

Il modello a ideale è quello della co-leadership, in cui tutti i membri della CoP condividono la leadership. Possibile, ma difficile (lo dico da italiano :-)).

Indipendentemente dal modello, la leadership di una CoP deve avviare la CoP, gestirne le dinamiche, facilitare l’attività della CoP, fare da coach, definire la direzione e le regole di comportamento, impersonificandole in primis con l’esempio e rappresentare la CoP presso il reso dell’organizzazione (incluso il reporting). Serve quindi un mix tra leadership classica (specialmente all’inizio) e leadership agile (servant leader): come nei modelli situazionali, lo stile di leadership deve variare con il contesto e con l’esperienza della CoP.

Chi portare a bordo

Per rispondere a questa spinosa domanda, meglio prima analizzare la situazione rispondendo ad alcune domande:

  • Chi é il target di questa CoP? Sviluppatori? Project managers? Testers?
  • Esistono relazioni esistenti che si possono sfruttare per lanciare la CoP?
  • Quale é la vision e l’obiettivo della CoP?

La prima domanda é piuttosto semplice, così come la terza… se non lo è, forse non sussiste la necessità di lanciare una CoP. La seconda dipende dal contesto aziendale: seguendo la buona norma che “chi somiglia si piglia”, spesso esistono già relazioni informali solide in un’organizzazione.

Una volta risposto a queste domande, i candidati ideali a partecipare ad una CoP sono coloro che hanno queste quattro caratteristiche

Purpose: hanno un obiettivo comune.

Challenge: affrontano gli stessi problemi degli altri.

Learn: hanno qualcosa da imparare dagli altri membri della CoP.

Teach: hanno qualcosa da insegnare agli altri membri della CoP

Queste quattro caratteristiche, unite alla volontà di farne parte, rendono una persona adatta a partecipare ad un CoP. Se manca la volontà di partecipare, meglio starne fuori: la partecipazione deve pertanto essere su basa volontaria, tenendo però la porta aperta per eventuali ripensamenti.

Diventare una community

Per creare una community, occorre innanzi tutto chiedersi cosa fa si che una persona si senta parte di un a community. Perchè le persone si riuniscono? Gli elementi chiave sono il senso di appartenenza, rafforzato anche da elementi esteriori che rendano la riconoscibile (pensate alle maglie di una squadra di calcio indossate dai tifosi), la sensazione di avere uno scopo comune (vogliamo e necessitiamo la stessa cosa) e di condividere una comunione emozionale (proviamo le medesime emozioni). Da ultimo, la sensazione di avere la possibilità di influenzare il destino della community stessa con il proprio contributo (possiamo cambiare le cose).

Con questo in mente occorre impostare i primi incontri della community con l’obiettivo di creare relazioni tra le persone. Esistono alcune tecniche, dette icebreaker, che possono aiutare a superare la normale diffidenza che ci puó essere tra quasi estrani. Tra queste abbiamo e “due verità e una bugia”, “l’autoritratto”. Perché si crei un legame, la community deve riunirsi con una certa frequenza: idealmente almeno settimanale, di persona. Il luogo scelto per i meeting deve incoraggiare il senso di sicurezza e di comunità: avere spazi dedicati e diversi dal luogo di lavoro sarebbe il massimo.

Nelle prime sessioni è importante creare allineamento, ovvero stabilire gli obiettivi. L’allineamento va ricercato su tre elementi: il perché, il come e il cosa.

Il perché è la vision della community. La ragione d’essere che crea l’obiettivo condiviso. La vision dovrebbe essere qualcosa a cui tendere, raggiungibile e facile da comprendere. Per crearne uno in modo collaboratico, si puó fare un workshop strutturato come descritto nel testo.

Il come è l’insieme di regole che governeranno la community, i principi della community stessa. Le regole devono essere scritte e visibili a tutti. Anche per la creazione dei principi si puó seguire l’approccio definito “anti-problema”, una tecnica creativa in cui i partecipanti indicano la peggior cosa che possa succedere e propongono quindi delle soluzioni. Se i principi sono le regole, i valori sono la morale sottintesa che questi principi incarnano. Sottintesa? Neanche per sogno! I valori della community vanno esplicitati. Per individuarli, si puó procedere con un workshop esplorativo.

Per finire c’è il cosa, ovvero su cosa lavoreranno le persone della CoP. Con la visione e i valori ben chiari, ci vogliono degli obiettivi chiari, anzi furbi… smart, anzi S.M.A.R.T (Specific, Measurable, Acheivable, Relevant, Time-boxed). Partendo da obiettivi chiari possiamo creare un backlog comune di attività.

Interazioni di valore

Le interazioni all’interno della CoP devono generare valore, in particolare attraverso l’apprendimento di gruppo. Occasioni per facilitare questo apprendimento sono ad esempio, presentazioni e talk per introdurre nuovi concetti, la pratica deliberata, cioè mettere in pratica pratiche o concetti in modo mirato, workshop e gare per facilitare l’apprendimento in un contesto informale, visite e tour di altri contesti lavorativi per copiare da chi fa meglio.

Le interazioni tra membri della community non si devono limitare ai momenti di condivisione plenari. Una pratica efficace consiste nel creare sottogruppo (2, meglio 3 persone) che lavorino su argomenti specifici.

Quando la CoP è matura, è il momento di aprirsi all’esterno con attività quali show & tell o creando materiale di marketing, facendo presentazioni o training o entrando in contatto con altre communities.

Da ultimo, occorre valutare periodicamente le opportunità di miglioramento della CoP, ad esempio tramite retrospettive periodiche.

Identificare i gap

Uno degli aspetti chiave che una CoP assolve è la crescita delle capacità del singolo, e quindi dell’intera CoP. Per assolvere questo scopo, bisogna chiedersi in primis quali siano gli skill necessari per i membri di questa CoP, quindi stabilire la baseline e individuare percorsi di crescita personale e di CoP.

Per capire gli skill personali, si puó partire dalle job description, si puó partire da li. Se, come spesso accade, queste non ci sono o sono disallineate rispetto alla realtà, si puó condurre un esercizio in cui i partecipanti indicano le loro attività abituali e deducendo da esse gli skill necessari.

Una volta identificati gli skill necessari, si puó effettuare l’assessment degli skill esistenti. Nel farlo, bisogna prestare attenzione agli aspetti soft, affinchè le persone non si sentano sotto esame. Inoltre bisogna cercare di evitare l’effetto di sottostima dei propri skill (dunning-krueger effect), ad esempio tramite l’uno di un modello. Ne vengono proposti 2.

Il modello Five-Stage of Adult Skill Acquisition di Dreyfus, categorizza il livello di competenza di un individuo rispetto ad uno skill in 5 livelli:

  • Novice: conosce e segue le regole
  • Advanced beginner: riconosce i pattern
  • Competent: sa scegliere la chiave di lettura dei fenomeni
  • Proficient: sa rispondere adeguatamente alle situazioni
  • Expert: riscrive le regole, adattandole

Il modello shu-ha-ri, derivato dalle arti marziali orientali, prevede tre livelli:

  • shu: l’allievo segue le indicazioni del maestro
  • ha: l’allievo inizia a capire i principi sottostanti e la teoria e inizia ad integrare la teoria nella pratica
  • ri: l’allievo inizia a trovare una propria autonomia, adattando le pratiche al contesto nel rispetto dei principi e delle teorie sottostanti.

Identificati i gap, si possono creare percorsi di crescita personalizzati. Il piano deve focalizzarsi su uno skill alla volta, con una chiara prioritizzazione e deve coinvolgere i line manager e gli interessi dei singoli, dell’azienda e della CoP. L’apprendimento puó sfruttare gli skill dei membri della CoP: una persona esperta in un ambito puó essere affiancata ad un’altra con necessità di apprendimento. Se internamente alla CoP non ci sono gli skill necessari, occorre guardare fuori.

Far crescere la CoP

Una CoP avviata vuole crescere. La crescita è in diverse direzioni.

La piú ovvia è la crescita numerica, il proselitismo :-). I membri esistenti possono fare da testimonial nella loro cerchia. Si possono usare le strutture organizzative esistenti, formali o informali.

Al crescere delle dimensioni, corrisponde spesso una specializzazione di ruoli, o meglio di profili. Abbiamo membri core che guidano, coordinano la CoP. Ci sono poi i membri active, che partecipano regolarmente alle attività, membri occasionali, che non sempre sono coinvolti, spesso perchè non trovano molta utilitá nella CoP, periferici, la maggioranza silenziosa e per finire … gli esterni.

Per creare una community auto-sostentante, occorre creare community leaders, far crescere alcuni membri core perchè prendano le redini della CoP.

CoP autonome

Una CoP ha senso fintanto che chi ne fa parte ha interesse a mantenerla attiva. Una CoP che si auto sostiene, deve avere un obiettivo chiaro, condiviso e che sia ancora rilevante. Gli elementi chiave sono una chiara leadership, un chiaro senso di appartenenza, un’utilità per i membri in termini di apprendimento, visibilità e supporto.